“Nel biennio 2020-21, il raggiungimento del rapporto deficit/PIL programmatico è interamente affidato alle clausole di salvaguardia su Iva e accise, già significative nel testo iniziale del Ddl di bilancio e ulteriormente aumentate nella conversione in legge (all’1,2% del Pil nel 2020 e all’1,5%o nel 2021). Tali clausole, peraltro, rappresentano determinanti cruciali della riduzione programmata del rapporto tra il debito e il Pil nel biennio 2020-21. Alla luce di quanto avvenuto in passato, la prospettiva di sostituzione delle clausole appare, perlomeno, di realizzazione complessa. Gli interventi di riduzione della spesa non dovrebbero verosimilmente interessare, se non in maniera limitata, le voci concernenti gli investimenti, che si vogliono potenziare; quelle riguardanti le prestazioni sociali, che si aumentano tramite la manovra attuale; i redditi da lavoro che verranno incrementati dai rinnovi contrattuali. Tenuto conto di tali esclusioni, la spesa residua aggredibile, rappresentata in buona parte dalla spesa sanitaria, sarebbe oggetto di riduzioni consistenti. Un ambito di intervento potrebbe riguardare – come sostenuto da anni – le cosiddette tax expenditure, anche se la legge di bilancio ne proroga alcune”.
A sottolineare il rischio ancora una volta, dopo quanto già fatto lo scorso novembre nell’ambito delle audizioni sulla manovra, è l’Ufficio parlamentare di bilancio nel Rapporto sulla politica di bilancio 2019.
Per quanto riguarda il comparto sanitario, si spiega nel rapporto, “la legge di bilancio per il 2019 sostanzialmente conferma il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale per il 2019, indicandolo in 114,439 miliardi, e fissa il finanziamento per il 2020 e il 2021, pari a quello del 2019 incrementato, rispettivamente, di 2 e di 3,5 miliardi, sempre che si arrivi alla stipula di un nuovo Patto per la salute. Ne deriveranno riduzioni della spesa sanitaria rispetto al tendenziale di circa 170 milioni nel 2020 e di 1 miliardo nel 2021. La legge di bilancio e il DL 119/2018 prevedono inoltre alcuni altri interventi di segno opposto, sulla spesa corrente e in conto capitale allocata alla sanità, per circa 100 milioni nel 2019 e nel 2020 e 300 nel 2021 e diverse disposizioni volte principalmente ad affrontare alcune emergenze, quali le carenze di personale e la regolazione della spesa farmaceutica”.
Complessivamente, dunque, partendo dalla stima tendenziale della spesa sanitaria contenuta nella Nadef, tenendo conto degli effetti della legge di bilancio e utilizzando il Pil programmatico aggiornato, la spesa sanitaria corrente diminuirebbe dal 6,6% del prodotto del 2018 al 6,3% nel 2021. “Si confermano quindi politiche allocative che implicano una perdita di terreno del comparto sanitario rispetto alla crescita del prodotto nominale”.
Quanto alla scansione temporale nella concessione di risorse aggiuntive nel triennio 2019-2021 rispetto a quelle del 2018, nel rapporto di spiega che questa “rende comunque difficile affrontare simultaneamente le questioni aperte più urgenti del Ssn, che in gran parte rientrano tra i contenuti del nuovo Patto per la salute 2019-2021; sarà quindi una necessità per le Regioni identificare le priorità di intervento. Tra queste vi sono: il finanziamento dei nuovi livelli essenziali di assistenza (Lea), che seppure introdotti nel gennaio 2017 non sono ancora pienamente garantiti per motivi sostanzialmente legati alla necessità di maggiori risorse; la fornitura dei farmaci innovativi; il finanziamento del contratto 2016-18 (quello dei medici non è stato ancora firmato) e di quello del triennio 2019-2021, nonché delle convenzioni, i cui oneri restano a carico delle Regioni; le carenze di personale, che richiedono si affronti, oltre all’aspetto delle risorse, quello della formazione, il problema dei vincoli alle assunzioni e quello della corretta valutazione dei fabbisogni. Con riguardo al personale, si devono considerare anche le conseguenze dell’introduzione di meccanismi più favorevoli per il pensionamento, preannunciati con l’introduzione nella legge di bilancio del Fondo per la revisione del sistema pensionistico”.
“L’accelerazione delle uscite per pensionamento rispetto a quelle già previste farebbe emergere ancora più drammaticamente l’insufficienza delle risorse umane per il Ssn. La contestuale riduzione dei costi del personale potrebbe lasciare però spazio per nuovi reclutamenti, anche in numero superiore alle cessazioni, dal momento che i neo-assunti ricevono mediamente una retribuzione più leggera rispetto ai dipendenti che sostituiscono, anche a parità di qualifica (questo effetto potrebbe essere solo in parte ridimensionato dal progredire delle carriere consentito dal pensionamento). Potrebbe rimanere peraltro disallineata la tempistica dell’uscita anticipata (che dipenderebbe però dal disegno delle nuove misure di anticipazione del pensionamento) rispetto ai tempi di realizzazione delle assunzioni e alla capacità del sistema di formazione di facilitare l’assorbimento delle nuove unità nel funzionamento ordinario delle strutture. Se da un lato un ringiovanimento del personale appare auspicabile, dall’altro sostituzioni troppo rapide potrebbero implicare la perdita di un patrimonio di conoscenza ed esperienza importante”, sottolinea l’Upb.
Infine, non sono mancate segnalazioni sulla norma relativa al commissariamento delle Regioni in piano di rientro. “In sede di conversione in legge del DL 119/2018 è stata poi modificata la normativa sul commissariamento ad acta delle Regioni in piano di rientro. Obiettivo del provvedimento è l’attribuzione dei poteri sostitutivi sempre a un soggetto diverso da quello che ha la responsabilità ultima dei problemi e delle carenze che hanno portato al commissariamento; l’aspetto controverso è invece riscontrabile nel rischio di esasperare la contraddizione insita in un potere normativo, che in alcuni casi finisce per essere anche di tipo sostanzialmente legislativo, in capo a un soggetto non eletto”
Fonte quotidianosanita.it