La sanità italiana e quella del Lazio perdono sempre più camici bianchi che emigrano all’estero o nel privato. Cosa bisognerebbe fare per invertire la rotta?

“In realtà il problema e’ che in questo momento la mancata programmazione, sia in ospedale che sul territorio, ha creato una carenza numerica di camici bianchi, in particolar modo nelle branche della medicina che possono sviluppare conflittualità medico-legali e risarcimenti. Questo stato di cose, associato poi al blocco del turnover e al conseguente precariato dovuto a contratti soprattutto a termine e malpagati, spinge i giovani medici ad abbandonare il Paese per proposte molto più attrattive. In questo momento ci sono società che reclutano medici offrendo compensi alti fino a 4mila e 400 euro più alloggio e altri benefit. È naturale che il medico che riceve un’offerta di questo tipo rispetto a quanto proposto in Italia, magari un contratto con retribuzione di 1.200 euro senza alloggio, assicurazione e formazione, sia spinto ad emigrare. I posti maggiormente vacanti per concorso sono quelli al Nord, mentre al Sud – è una amara realtà – non si pone proprio il problema: i bandi di concorso non vengono programmati. Negli ultimi 5 anni in Italia abbiamo contato 4.500 medici giovani specializzati che hanno abbandonato il Paese per lavorare all’estero. Poi c’è tutta la parte di medici non specializzati che sono andati in Ue od Oltreoceano. Insomma, stiamo perdendo quote di specialisti anche perché le università italiane formano bene: non a caso i medici italiani sono richiesti in tutto il mondo. A Roma sono 44mila gli iscritti all’Ordine, quindi i medici ancora ci sono. Il problema e’ un altro: se non si fanno i concorsi e non si stabilizzano le persone dando loro una prospettiva, sia lavorativa che di vita, perderemo sempre più cervelli. Se passa poi il regionalismo differenziato forse avremmo qualche problema in più, in quanto ci potrebbe essere una autonomia contrattuale tra una Regione e l’altra per cui Regioni più ricche possono essere più attrattive generando ulteriori disparità di cure tra Nord e Sud”.

“Nel Lazio l’età media dei medici e’ di 57 anni, 6 in più rispetto alla media nazionale che si attesta a 51. Le ragioni e i rischi di questo fenomeno?”

“Il Lazio e’ nella media nazionale, ma nel Nord Italia sono più giovani solo perché, essendoci state per concorso nuove assunzioni, nell’organico sono entrati più giovani che hanno abbassato la media. Mentre nelle Regioni con piano di rientro – che non possono assumere – ci sono, naturalmente, medici con età media superiore. Quindi al Nord abbiamo una media di 50-52 anni d’età mentre più ci sposta al Centro-Sud più la media sale sfiorando i 57 anni d’età. Questo non va bene, perché se pensiamo che intorno ai 60-62 anni d’età si potrà andare in pensione questo vuol dire che nel Lazio abbiamo solamente 5 anni per riorganizzarci. Bisogna capire anche se la Regione Lazio uscirà dal piano di rientro. A maggior ragione i medici più validi potranno anche decidere di andare in pensione e spostarsi nel privato depauperando ulteriormente il Ssn. Anche i giovani più competenti potranno fare la stessa scelta. Secondo me, e’ assolutamente importante potenziare gli specialisti ambulatoriali in modo che possano fare da filtro tra territorio e ospedale, così da evitare l’inutile e dannoso sovraccarico di lavoro al Pronto soccorso. Cominciamo ad avere anche qualche carenza nei medici di medicina generale, poi c’e’ il problema delle liste d’attesa. Ribadisco, nel Lazio vanno potenziati gli specialisti del territorio in modo che gli ospedalieri possano, come dovrebbe essere, concentrarsi sulle acuzie e non sulla cronicità, in modo anche da abbattere i costi del Servizio sanitario a vantaggio della salute di tutti i cittadini”.

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